Nel corso degli ultimi anni la digitalizzazione ha portato con sé tanti vantaggi, ma ha anche determinato una serie di conseguenze negative. Tra queste va considerato sicuramente l’impatto ambientale che l’uso di Internet comporta. Secondo un recente studio della Royal Society, infatti, le tecnologie digitali hanno emissioni molto alte, stimate tra l’1,4 e il 5,9 per cento del totale delle emissioni. Volendo fare un esempio, si potrebbe dire che con il mondo online si crea un quantitativo di CO2 superiore a quello procurato dal Giappone. L’elemento più subdolo, però, consiste nel fatto che questa forma di inquinamento risulta invisibile; non si nota quindi non viene criticata e quasi passa inosservata. Invece, anche ricerche sul web banali procurano danni all’ambiente e si tratta solo di un tipo di impatto. Allora la domanda sorge spontanea: gli operatori on line pesano davvero meno di quelli terrestri sull’equilibrio del nostro Paese – come qualcuno sostiene – oppure alla fine siamo quasi allo stesso livello?
I numeri parlano chiaro
Partiamo dai dati per capire come sia davvero la situazione. Il primo da segnalare è che tutto ciò che facciamo in rete produce CO2, in quantità variabili. Un sito web con diecimila visualizzazioni uniche al mese produce in un anno 211 chilogrammi di CO2, mentre per messaggi whatsapp o email la percentuale è ovviamente più ridotta. Per una videochiamata, invece, si consumano dai 150 ai 1000 grammi di CO2. Dimensioni ridotte, certo, ma che esistono. Solo che questi “impatti” si possono ancora contenere. Basta prestare un po’ di attenzione, prendere qualche accorgimento e la situazione può essere corretta. Ad esempio, spegnere la telecamera aiuta a ridurre le emissioni. Ancora, in fase di programmazione, si può decidere di adottare dei codici snelli, che rendano la pagina più leggera e veloce. E poi può essere vantaggioso evitare di cambiare i propri dispositivi elettronici troppo frequentemente, in modo da ridurre l’accumulo di rifiuti tecnologici. Insomma, se è importante essere consapevoli dell’impatto delle tecnologie digitali sull’ambiente, occorre anche prendere atto del fatto che può essere ridotto se gli individui e la società prendono decisioni più sostenibili.
Un esempio che depone a favore della tecnologia
L’obiettivo di arrivare a una situazione di neutralità per le emissioni è ovviamente ancora lontano, ma nel mondo digitale sembra più raggiungibile di quanto non accada nel mondo reale. A renderlo evidente è, ad esempio, un confronto tra gli operatori di gioco on line e le sale da gioco tradizionali. Pensiamo soltanto all’impatto sull’ambiente che un casinò tradizionale determina. Vanno considerati il consumo di energia elettrica per illuminarlo, i costi di gestione, i rifiuti creati da una struttura che accoglie centinaia di visitatori. Quanto ai frequentatori di questi luoghi, per arrivarci devono spostarsi e quindi inquinare con i loro trasferimenti. Ad aumentare i gas di scarico contribuiscono pure le movimentazioni di materiali e beni di cui usufruiranno gestori e visitatori di queste strutture. Problemi che non riguardano il mondo virtuale. Basta scorrere una lista di siti di gioco on line per rendersi conto che l’impatto ambientale è del tutto diverso da quello determinato da grandi edifici eleganti e che le offerte sono vantaggiose. Emblematico l’esempio di Las Vegas, il paradiso de giocatori, che ha trasformato una zona desertica in una città di luci ed emozioni, ma ha ovviamente cancellato del tutto l’aspetto del luogo, modificandolo – secondo qualcuno – in modo davvero inaccettabile. Fino a qualche anno fa la “capitale” americana del gioco era considerata il prototipo della distruzione seminata dall’uomo nell’ambiente, tanto che veniva soprannominata “dirty city, ovvero città sporca, e criticata a spada tratta. On line, invece, l’impatto rimane inferiore.
Lo smart working conferma la tesi
Solo una declinazione concreta per capire quali siano le differenze tra mondo reale e mondo virtuale. Un altro esempio, forse ancora più evidente, è quello del mondo del lavoro. Anche in ambito professionale, tutti i problemi pratici sembrano ridursi e annullarsi quando si va on line. E a dimostrarlo sono stati il rilancio e lo sviluppo rapido e universale dello smart working. Il cosiddetto lavoro agile consente di assicurare alcuni vantaggi. Intanto si risparmia il tempo degli spostamenti, poi si riducono i livelli di inquinamento. Anche lo stress di affrontare il traffico, con gli eventuali ritardi, è un fattore che viene meno e in qualche modo comprime l’impatto sul benessere degli individui. Certo un passo avanti, ma che comunque non può competere con la leggerezza e la volatilità dell’impronta di carbonio, che viene lasciata dalle piattaforme on line e da coloro che le utilizzano e vi si appassionano.
La confusione rimane
Il dibattito, tuttavia, non è così semplice da risolvere. Sulle diverse conseguenze di online e offline si discute ormai da molti anni. Vale a livello di affari e di commercio, con i negozi fisici che cercando di andare online e quelli on line, come Amazon, che strizzano l’occhio alle sedi fisiche. Oggigiorno abbiamo rivenditori tradizionali con un portafoglio di negozi fisici e rivenditori online globali in grado di sconvolgere i mercati per vendere a livello internazionale. In mezzo c’è il consumatore che si aspetta sempre un servizio ottimale, ma non vuole nemmeno sentirsi responsabile della distruzione del Pianeta, nel momento in cui si dedica alle attività che preferisce o vuole richiedere dei servizi. Per risolvere la querelle probabilmente ci vorranno anni. L’importante è che ciascuno assuma davvero delle scelte responsabili: che si tratti di fare acquisti, organizzare un viaggio o pagare le bollette.